Feste Religiose
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Santa Maria Maddalena
- E' la patrona di Tramatza, molto sentita come festa viene da sempre organizzata da un comitato di donne. Si festeggia il 22 luglio.
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San Giovanni Battista
- E' senza dubbio il santo più venerato. La festa di San Giovanni Battista si festeggia il 24 giugno. tradizione riunirsi per formare il comitato organizzatore tutti quelli che hanno questo nome che , una volta, erano alquanto numerosi.
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Sant'Efisio
- Ogni anno, la sera del 14 gennaio, la vigilia a lui viene dedicato un grande falò che raccoglie attorno tutta la popolazione e anche numerose persone dei paesi vicini.
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Sant'Isidoro
- Si festeggia raramente ma la festa era molto sentita poichè il santo è il protettore degli agricoltori.(Messaiusu). Non ha una ricorrenza fissa, di solito a Settembre in coincidenza con l'inizio dell'anno agrario.
La Cucina Tramatzese
La cucina tipica Tramatzese di cinquant’anni fa non era diversa da quella dei paesi vicini, era una cucina alquanto povera, ricca solo di vegetali, soprattutto i legumi.Raramente si mangiavano la pastasciutta (spaghetti o gnocchetti , qualche volta i ravioli) e la carne si mangiava solo per le feste.
Sulla tavola dei nostri antenati primeggiavano i piatti unici a base degli stessi prodotti della terra che ogni Tramatzese coltivava per uso proprio oltre ai già citati legumi che si cucinavano utilizzando il grasso di maiale Lardo o ciccioli, e se andava bene si potevano aggiungere pezzi di carne, sempre di maiale, salata o la cotenna.
Altro piatto comune nella mensa di una volta era rappresentato dalle patate e così si poteva cucinare : patata con minestra, variante con l’aggiunta di uova e l’immancabile zuppa di cipolle, sia da sola che con le patate.
Altro mangiare povero era rappresentato dal pan cotto condito con il sugo di pomodoro , supas e de is arrumbueddus polpette di pane cotte in brodo.
La carne, che si mangiava molto raramente, era soprattutto quella degli animali da cortile, polli, conigli, e pennuti in genere, maiale e la carne di pecora; la carne bovina si consumava raramente solo se capitava che qualche allevatore doveva sacrificare qualche bestia perché magari si era ferita o azzoppata!
La carne di solito veniva consumata bollita, a volte arrostita oppure cucinata con la vernaccia, più frequentemente venivano accompagnate con le patate, una sorta di spezzatino.
I pesci che si consumavano erano quelli del fiume che tra l’altro era molto pescoso, si pescavano in abbondanza anguille, trote, carpe, tinche. I pesci di mare o di stagno che arrivavano tramite qualche ambulante, erano i muggini, anguille, surellu, pesce cavallo, sparlotte , le sardine, Le spigarelle, i granchi, e pochi altri, si cucinavano in brodo, arrosto, in insalata, fritti o in verde.
Le verdure, tutte dell’orto di casa, venivano consumate in genere senza condimenti particolari, se si fa eccezione per la lattuga e l’indivia e le verdure cotte, biete, patate, cavolfiori che si condivano con olio, aceto e sale, queste ultime dopo essere state bollite.
In mancanza, si cercava nelle campagne la verdura commestibile che vegetava spontaneamente .
Il companatico veniva prodotto solo a livello casalingo, si allevava il maiale e con questo si preparavano i diversi insaccati, e nelle numerose famiglie di pastori, si faceva il formaggio. Ma il più delle volte, anche per chi faticava in campagna l’alimentazione si riduceva a pane e cipolle, pane e olive, pane e lardo.
La frutta, veniva consumata solo quella locale, o dei paesi vicini. La frutta che si coltivava nei cortili erano il melograno, l’albicocco il fico, l’arancio o mandarino e il pero. Nei campi, si producevano anche angurie, meloni e l’uva.
Ma la maggioranza delle famiglie, soprattutto quelle più modeste, non disdegnavano la frutta che cresceva spontanea come i fichi d‘india, i perastri selvatici, le more etc. altrimenti , soprattutto i ragazzi, ma anche qualche adulto cercavano nelle campagne quello che non trovavano a casa.
Il pane veniva fatto in tutte le case, si macinava il grano duro, prodotto in loco, nel mulino, ad acqua, ancora funzionavano negli anni cinquanta. Dalle varie farine si poteva ottenere: dalla semola "su pani ena" pane bianco, si faceva anche una sorta di pane integrale "su pani crivatzu o iseti". Con la crusca o il granturco si preparava anche il pane per i cani.
Il pane con i ciccioli "ghedras" e lo strutto veniva considerato quasi una leccornia.
Per le feste si facevano invece tipi e forme di pane speciale vedi).
A tavola, non mancava quasi mai un buon bicchiere di vino, prodotto sempre dagli agricoltori per uso familiare. Tra i rossi da tavola il girò, la monica.., tra i bianchi il semidano e l’immancabile vernaccia.
Si conservavano anche le olive in salamoia e numerose verdure sott’olio e sott’aceto. La frutta si conservava sotto spirito o si lasciava seccare, (dall’uva si faceva l’uva passa), con la frutta si faceva anche la marmellata. I liquori si facevano a casa comprando le essenze.
Il pomodoro si conservava a livello domestico, si preparava la conserva,gran parte del prodotto si lasciava seccare e si conservava sotto sale.
Unica e rara eccezione era rappresentata dai dolci che invece abbondavano sia in quantità che nelle qualità più svariate anche se si preparavano soprattutto per le feste seguendo un vero e proprio calendario. E così oltre alle torte margherite, " a matza de pistocus"si facevano i leggerissimi biscotti sardi, seguiva poi nei mesi di gennaio e febbraio le zippole e le fritture di carnevale, (chiacchere) " pilu budius" le formagelle "paudras" di ricotta o di formaggio fresco a Pasqua, le ciambelle, i bianchini (meringhe) "biancheddus", " is pirichitus", is gueffus, is pipias de zucuru si facevano per tutto l’anno. Nel mese di ottobre-novembre cominciava la serie dei dolci con la sapa, una sorta di melassa che si otteneva dopo un lungo processo di preparazione dalla fichi d’india, si preparavano "is pabassinus", "sa pani manna", la torta con la sapa e "is ziddinas".
Sospiri, anicini e amaretti erano riservati soprattutto per le cerimonie , matrimoni, battesimi e cresime dove non mancavano i classici pistocus che le donne consumavano intingendolo nel caffè.
"Arrubiolus e bruniolus "completano la serie dei dolci economici.
Nei mesi di Giugno e Luglio per le feste più importanti del paese di San Giovanni e Santa Maria Maddalena si usava infornare e tostare ceci, pistacchi, fave semi di zucca e fichi che si consumavano poi nel piazzale della festa insieme a una fetta di torrone.
Qui di seguito riportiamo una serie di piatti più rappresentativi della nostra cucina per riscoprire i sapori di una volta e perché no, per ricominciare a mangiare in maniera sana e genuina nel rispetto della tradizione.
Recuperiamo i piatti di una volta:
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Piatti Unici: legumi (ceci, fave, borlotti, cannellini) con la cotenna, gelatina, minestra di cipolle, sugo con salsiccia, fave lesse, pan cotto, minestra di patate polpette di pane, zucchine ripiene,
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Pietanze a base di carne:pollo alla vernaccia, spezzatino con verdure, carne con vino e aceto, coniglio e pollo alla vernaccia, polpette;
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Pietanze a base di pesce: pesce bollito, anguille con il formaggio;
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Companatico: salsiccie, formaggio, lardo, cipolla, pancetta;
Prodotti conservati:
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sott’olio(carciofini, cardi selvatici, cipolline),
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in salamoia (olive), sott’aceto (tutte le verdure),
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sotto spirito (uva ciliegia), marmellate(di arance, mele cotogne);
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Salse: salamoia
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Dolci: pane con la sapa, papassini, zeppole, amaretti, sospiri, pirichitusu, arrubiousu, pesche, meringhe.